Monday, April 30, 2007
Un ragno nella mela
C’e’ un evento speciale a New York questa settimana. A dirla tutta nella Grande Mela ci sono sempre eventi speciali, ma questo in particolare e’ qualcosa che viene reclamizzato da mesi, e di cui tutti i media si stanno occupando ossessivamente. Dal 29 aprile al 4 maggio si celebra la “Spider-Man Week”: un’intera citta’ rende omaggio al suo eroe preferito, quello col costume da ragno.
Il legame tra Spider-Man e New York e’ tanto saldo e indissolubile che a volte la finzione del fumetto diventa realta’ e viceversa. Ad esempio, quando la Marvel fu quotata al New York Stock Exchange (la borsa americana) nel 1991, il New York Times intitolo’ “Spider-Man arriva a Wall Street” e un attore in costume accompagno’ Stan Lee all’edificio della borsa. Viceversa, 3 mesi dopo l’attentato alle Torri Gemelle la Marvel se ne usci’ con un toccante albo in cui Spidey insieme ad supereroi e persino ai “cattivi” del fumetto si mischiavano a pompieri e forze dell’ordine per aiutare i cittadini.
Peter Benjamin Parker, alias Spider-Man, vede la luce nell’agosto del 1962 nel leggendario numero 15 di “Amazing Fantasy” della Marvel. I suoi padri sono Stan Lee e Steve Ditko, rispettivamente ideatore (nonche’ presidente e colonna portante della Marvel) e disegnatore del personaggio. 45 anni dopo Spider-Man e’ diventato in assoluto il supereroe piu’ popolare e “redditizio” dell’industria dei media e l’indiscussa gallina dalle uova d’oro della sua casa editrice.
Non c’e’ nulla di strano quindi nel fatto che New York, la citta’ che da decenni ospita le avventure del giustiziere mascherato, si fermi per dedicare il suo tributo al suo amato abitante. Ad essere maligni, appare ancora meno strano il fatto che il culmine della settimana sia il 4 maggio, giorno di uscita nelle sale cinematografiche del terzo film della serie.
Non e’ lecito sapere quanti milioni di dollari la Sony e la Marvel abbiano dedicato alla promozione di “Spider-Man week” e film. Manifesti esageratamente enormi da mesi hanno invaso tutti i punti strategici. La stessa organizzazione della settimana e’ stata in realta’ un capolavoro di politica e di marketing: mai si era visto fino ad oggi uno spot cinematografico talmente invasivo e ben congegnato, in grado di trasformare la capitale moderna del mondo nel set di un gigantesco trailer cinematografico. La Spider-Man Week ha il suo epicentro nel Tribeca Film Festival, che e’ un altro colpo di genio: Peter Parker diventa protagonista assoluto di uno dei festival del cinema piu’ “in” in circolazione, facendo passare in secondo piano tutti i divi piu’ quotati, da Di Caprio ad Anjolina Jolie. E il buon Spider-Man non si accontenta, ma invade letteralmente : al Museo di Storia Naturale (mostra sui ragni), allo zoo del Bronx (caccia al tesoro nelle location del film), nel giardino botanico di Brooklyn (varie attivita’ per bambini sui ragni), nella biblioteca pubblica (esposizione di tavole originali) e in decine di attivita’ commerciali di ogni genere e tipo, preferibilmente multinazionali.
Spider-Man e’ la mitologia dell’America, e poco importa se Ercole ed Achille hanno 3000 anni e Peter Parker ne ha solo 45. Nell’attesa di festeggiare anche in Italia la “Enea week” a Roma o la “Dante Week” a Firenze, godiamoci intanto le imprese dell’Uomo Ragno. Confidando che la Sony un giorno decida di fare un blockbuster sull’Eneide.
 
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Monday, April 16, 2007
La libertà passando da Ellis Island
Gli Stati Uniti sono una terra di immigrati. Dal 1890 al 1954 Miss Liberty ha assistito all’arrivo nelle acque dell’Hudson di non meno di 20 milioni di immigrati. Quasi tutti venivano dall’Europa, molti dall’Italia: tutti cercavano di fuggire alla miseria dilagante a inizio secolo anche nel nostro paese. Miss Liberty era per loro il simbolo della speranza, e vedere la sua fiaccola da lontano dopo un viaggio in terza classe di piu’ o meno 18 giorni doveva essere un po’ come per gli astronauti toccare il suolo lunare. Ma la loro prima destinazione non era Miss Liberty, ne’ Manhattan: tutti dovevano prima passare da Ellis Island.
Ellis Island e’ una piccola isola dove gli inglesi qualche secolo fa punivano i pirati catturati. Sorge a pochissima distanza da Liberty Island nella baia del fiume Hudson. Quando, a partire dal 1850, cominciarono ad arrivare dall’Europa orientale e meridionale frotte di immigrati che cercavano di migliorare le proprie condizioni di vita attratti dalle opportunita’ offerte dal nuovo mondo, Ellis Island fu adibita a centro di immigrazione. Le sue strutture dovevano accogliere circa 500mila immigrati all’anno. Ne arrivarono il doppio.
E’ facile immaginare le scene a cui andavano incontro queste famiglie, che arrivavano dai paesi piu’ poveri dopo inimmaginabili peregrinazioni marittime, senza denaro e senza conoscere una parola di inglese. Con la valigia di cartone in mano e il vestito della festa (l’unico) addosso per fare bella figura con gli ufficiali americani che, concedendo o meno il visto, avrebbero deciso la vita o la morte di una persona o di un’intera famiglia. L’America aveva comunque bisogno di lavoratori: per questo pare che solo un 2% degli arrivati fosse respinto, a causa soprattutto di malattie.
Il centro di accoglienza di Ellis Island ha chiuso i battenti nel 1954; nel 1990 e’ stato riaperto come “Museo dell’immigrazione” e oggi ospita foto, oggetti, testimonianze dirette degli immigrati che vi transitarono decenni fa. Le persone che, con le loro mani, costruirono l’America: e’ stato calcolato che almeno il 40% degli americani di oggi abbia qualche parente che sia transitato per Ellis Island.
E’ emozionante passare nei locali dove il proprio bisnonno quasi un secolo fa fece una coda di cinque ore per sostenere un esame fisico di circa 8 secondi (tanto durava in media l’esame per gli “aspiranti americani”). E’ illuminante scoprire che nei quotidiani di allora si svolgevano gli stessi dibattiti pro e contro l’immigrazione, con le argomentazioni che ancora oggi si sentono ripetere a proposito di frontiere chiuse, lavoro nero, criminalita’, sovrappopolazione, mancanza di risorse eccetera.
Ed e’ consolante scoprire come un fenomeno che cento anni fa veniva visto come un fattore di degrado per le magnifiche sorti del continente americano si sia trasformato, a conti fatti, nella sua piu’ grande ricchezza.

***

Esistono alcuni miti su Ellis Island che vengono ripetuti da generazioni ma che sono assolutamente falsi. Ad esempio, ne’ Albert Einstein ne’ Fiorello La Guardia passarono da Ellis Island. E’ vero invece che vi passarono celebrita’ come Isaac Asimov e Bob Hope. Dalle parti di casa nostra, un italiano che si fece onore fu Chef Boyardee, all’anagrafe Ettore Boiardi, che parti’ da Piacenza nel 1914 e fu per decenni uno dei cuochi piu’ celebrati d’America. Non dimenticando le sue origini, Chef Boyardee passo’ gli ultimi anni della sua vita in Ohio, in una citta’ chiamata... Parma.
 
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Monday, April 9, 2007
Avvocati e raccomandazioni
Chi non ha ricevuto via mail la catena sulle istruzioni d’uso dei prodotti americani? Chi non ha sorriso davanti all’avviso su un ferro da stiro “Attenzione: non stirare i capi mentre li indossate” o al cartello sul costume di carnevale da Bat-Man che “Non permette a chi lo indossa di volare”?
L’America e’ la terra delle raccomandazioni inutili. Su ogni bicchiere per il caffe’ troverete scritto di fare attenzione perche’ il caffe’ puo’ essere caldo. Su alcune lavatrici vi si ricordera’ che e’ opportuno non usarle per lavare i bambini. Su un pacchetto di arachidi troverete la scritta “Attenzione- contiene arachidi”.
Eppure, questi americani non sembrano tanto tonti da pensare che una motosega si puo’ fermare con i genitali, come recita un altro celebre foglietto di istruzioni. Dov’e’ l’inghippo, allora? Forse questo ha qualcosa a che fare con il fatto che negli Stati Uniti risiede (e prospera) il 75% degli avvocati del mondo? Che addirittura il 30% di loro ha i suoi uffici nella costosissima Manhattan?
Sulla metropolitana non e’ raro imbattersi in annunci del tipo “Tuo figlio e’ epilettico? Ha difficolta’ di apprendimento? FORSE il colpevole e’ il dottore che l’ha fatto nascere! Fagli causa tramite il nostro studio!”. Seguono, trionfali, le statistiche dei milioni di dollari che sono stati assegnati da lungimiranti giudici americani a questi precursori della causa facile. Reclame di avvocati sono ovunque: chiama l’1-800-DIVORCE per un divorzio indolore. Chiama l’1-800-IMMIGRATION per cercare qualche scappatoia per ottenere la cittadinanza. Chiama questo se qualcuno ti molesta sul lavoro. Chiama quest’altro se un altro ti discrimina. Insomma, il paradiso degli avvocati e delle cause.
La protezione dei diritti del singolo e’ alla base della cultura americana:le leggi degli Stati Uniti sono quasi ossessionate dal bisogno di proteggere l'individuo contro i “soprusi” delle corporation. Soprattutto negli anni '80, qualcuno piu’ furbo degli altri ha capito che se ne poteva approfittare. E da allora le cause intentate contro corporation o enti pubblici per motivi a dir poco futili o assurdi sono prosperate, fino agli esiti piu’ paradossali. Un ladro che fa causa al padrone della casa che stava svaligiando per essersi rotto una gamba scivolando dalle scale. Un ubriaco responsabile di un incidente d’auto che fa causa all'amico al cui party si era ubriacato. Si capisce che poi su una carrozzina americana leggiamo di “Togliere il bambino prima di chiudere il passeggino”.
Insomma, le etichette dei prodotti americani, oltre a farci ridere, ci mettono in guardia. Se e’ vero che il sonno della ragione genera mostri, in America si capisce cosa riesce a generare l’uso distorto della ragione.

NB
Nel 1992 Stella Liebeck, un’anziana signora americana, si ustiona un labbro a causa del caffe’ bollente del McDonalds. Fa causa alla multinazionale. La vince e “incassa” tre milioni di dollari. E’ l’apice della cultura della causa. Da allora, ogni anno si svolgono gli “Stella Award”- i premi per le cause (vinte) piu’ assurde. Tutto documentato al sito www.stellaawards.com.
 
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Tuesday, April 3, 2007
Il peggior jazz della tua vita
Chi passa a New York, ha il portafogli pieno, ama Woody Allen e non ha niente da fare il lunedi’ sera puo’ permettersi un lusso che in nessun altro posto del mondo puo’ replicare: stare seduto a pochi metri da Woody Allen per sentirlo suonare il clarinetto insieme alla New Orleans Jazz Band.
La passione di Woody Allen per il jazz (in particolar modo per quello di New Orleans) traspare fin troppo chiaramente dalle colonne sonore di quasi tutti i suoi film. Woody suona il clarinetto sin dall’adolescenza e addirittura il suo nome d’arte proviene da quello del famoso clarinettista Woody Herman (il suo vero nome e’ in realta’ Allen Stewart Konigsberg). Il documentario “Wild Man Blues” testimonia una tournee’ europea del regista come frontman di una band jazz.
Bisogna essere ferventi ammiratori del regista per prendersi la briga di prenotare (con alcune settimane di anticipo) un tavolino al Carlyle Cafe’, nel tradizionalmente borghesissimo Upper East, a un centinaio di euro per persona piu’ il costo della cena, obbligatoria. Bisogna nutrire uno sviscerato amore per la filmografia del comico ebreo per resistere ai tavolini di pochi centimetri quadrati, alla clientela altezzosa del Carlyle, ai prezzi eccessivi del menu’ e alla cucina non proprio proporzionata ad essi. Ma quando Woody entra in scena, con il classico maglioncino da nonno e quell’espressione di comica tristezza o triste comicita’ che dir si voglia, capisci che ne e’ valsa la pena: e’ proprio lui, il Dittatore di “Bananas”, lo spermatozoo di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso”, lo scrittore frustrato di... almeno una ventina di suoi film. Ed e’ seduto a cinque metri, accompagnato da una mezza dozzina di musicisti di ottima qualita’ che rendono l’atmosfera ancora piu’ magica e frizzantina.
Poi pero’ Woody, con calma olimpica, si siede, sceglie con cura l’ancia del clarinetto e, purtroppo, si mette a suonare.
Diciamolo, Woody Allen e’ un grande regista ma la musica ha conosciuto interpreti migliori. Le note, incerte, escono con fatica dal clarinetto, gli assoli sono privi di ispirazione, i virtuosismi... ben poco virtuosi. Ci si chiede come la natura, che cosi’ generosamente ha dato a quell’uomo sul versante cinematografico, sia stata cosi’ ingenerosa su quello musicale.
In sala tutti gli occhi, tutti gli orecchi, tutti i cuori sono comunque per lui, per l’unica persona al mondo che riesce a riempire una sala da concerto solo facendo film. Ogni assolo termina con un generoso applauso “ad honorem”, ogni pausa viene evidenziata da un silenzio a dir poco innaturale: tutte le orecchie sono tese ad ascoltare una sua parola, un suo commento, che comunque non arriva mai. Quando non suona Woody se ne sta in silenzio, occhi bassi al suolo, evitando lo sguardo della gente: pare quasi ne abbia paura.
Finisce il concerto, Woody canticchia l’ultima canzone (sono le sue uniche parole della serata) e schizza dall’uscita di sicurezza come una rock star.
Finisce il concerto e ti rendi conto di aver pagato uno sproposito per ascoltare forse il peggior jazz che sentirai nella tua vita. Ma per qualche motivo sei felice: lui, il grande Woody, e’ stato per due ore li’ con te. Ha respirato la stessa aria, ascoltato la stessa musica, visto la stessa gente. Forse, in un’altra occasione, ha anche usato la tua forchetta. Ne e’ valsa la pena.
E per fortuna, nessuno degli altri tuoi idoli suona il jazz.
 
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