Tuesday, May 15, 2007
Gli Anti-Soccer
Gli Americani fanno di tutto per essere originali. Usano miglia al posto di chilometri, galloni al posto di litri, libre al posto di chili, pollici al posto di centimetri. E baseball al posto del calcio.
Noi italiani (e in questo siamo in buona compagnia) non abbiamo mai capito perche’ l’americano medio si ostini in questa futile resistenza anti-calcio. Abbiamo provato di tutto per farlo assimilare al nostro modello culturale basato sulle partite di serie A come rito domenicale da rispettare. Abbiamo fatto la’ i Mondiali guidati dal nostro coach piu’ pittoresco e, almeno sulla carta, spettacolare. Abbiamo fatto in modo che la nazionale americana partecipasse a tutte le edizioni regalandole gironi di qualificazione a prova di “dummy”. Abbiamo persino provato a coinvolgere i loro presunti campioni nel nostro campionato (a Padova si ricordano ancora di Alexi Lalas). Adesso proveremo addirittura ad esportare glorie europee, come Beckham e, molto piu’ gettonata, sua moglie posh. E tutto questo non e’ bastato: l’americano continua a impazzire per il Superbowl, a schierarsi nella diatriba Red Sox contro Yankees, a cercare le facce dei vips nelle partite dei Knicks al Madison Square Garden... e a trattare il “soccer” come una cosa da femmine (o da minoranze etniche).
Per capire la cultura sportiva americana, e mettersi il cuore in pace sull’impossibilita’ di esportare il calcio, bisogna provare l’esperienza dello stadio dal vivo. Chi passa le sue domeniche in una curva a gioire e soffrire per la squadra del cuore fara’ un po’ di fatica a capire lo spirito dello sport americano: sembra quasi che la partita sia un pretesto, un diversivo per passare qualche ora con amici o famigliari ad ingozzarsi di hot dog e birra. Tutto viene sacrificato allo spettacolo, persino l’agonismo: a farla da padroni sono il maxi-schermo, dove ogni azione viene accuratamente sviscerata e dove ogni spettatore pagante sogna di apparire in uno dei divertenti sketch di intervallo, e l’impianto audio, che non manca di incitare il pubblico ad urlare “Charge” (carica!), a cantare a squarciagola qualche canzone popolare o ad alzarsi in piedi per una commossa partecipazione per l’inno nazionale (sia ad inizio partita che al settimo inning: un patriottismo tanto esibito da rasentare il fanatismo nazionalista). Nessuno si stupisce se il gioco vero viene continuamente interrotto da pause: fine degli innings, cambio campo, time out, fine del quarter, sostituzione e avanti cosi’- l’importante e’ trovare il tempo per nuovi spot (in TV) o nuovi giochini da maxischermo (allo stadio) per intrattenere il pubblico mentre consuma.
In questo scenario, si comprende come il concetto di “curva ospiti” non sia nemmeno lontanamente applicabile. Sarebbe come separare le poltrone del cinema a seconda della provenienza geografica degli spettatori. Uno puo’ permettersi di insultare la squadra di casa per tutto il tempo, e non temera’ alcun male dai supporter locali: in fondo e’ solo un gioco. Purche’ non finiscano gli hot dog e la birra: allora si’, che il pubblico comincerebbe a a mugugnare!


***

Non piacera’ all’americano medio, eppure in America una serie A esiste: la Major Soccer League ha visto la luce nel 1996, 12 anni dopo la chiusura “per fallimento” della North American Soccer League (attiva dal 1967 al 1984) in cui avevano militato campioni a fine carriera come Pele’, Bettega o Chinaglia. Come da tradizione nello sport americano, anche nella MLS mancano promozioni e retrocessioni in categorie superiori o inferiori. Informazioni su squadre, regolamento e albo d’oro al sito web.mlsnet.com.
 
posted by staff at 1:44 AM | Permalink |


0 Comments: